Traduzione, adattamento e regia di Christian La Rosa
Uno splendido esempio di commedia degli equivoci, uno dei grandi testi del teatro comico, pensato, come “un cortocircuito, grazie a una gigantesca macchina comica che mettesse, davanti allo spettatore, lo spettatore stesso”. La trama si regge sui tentativi di seduzione di un marito insoddisfatto ai danni della moglie dell’amico, un affare famigliare che, dal tipico salotto borghese, si sposta ben presto nelle stanze e nei corridoi di un albergo, dove si ritroveranno tutti i personaggi con intuibili equivoci e avventure rocambolesche. Una commedia raffinata, capace di ritrarre una società bugiarda che mostra biasimo in pubblico per dei comportamenti che poi in privato desidera attuare. Forse è meglio che le illusioni restino in vita. Forse è meglio vivere nella sospensione visto che quando si spera intensamente che qualcosa di “immorale” accada, alla fine si rivela un insuccesso e ci si deve operare perché la verità non venga a galla votandosi a gigantesche peripezie.
A distanza di un secolo Feydeau ci dimostra che i temi della commedia rimangono immutati perché sempre identiche le maschere che portiamo nella vita. Insomma da Plauto ad oggi, nulla è cambiato, gesti, parole e azioni si perpetuano nelle varie epoche. La battuta folgorante non manca mai: poche calcolatissime parole ed ecco assestata una stoccata beffarda a cui, immediata, fa eco la risata della platea. Botta e risposta insomma, azione e reazione: la forza del teatro o, per meglio dire, del vaudeville del drammaturgo d’oltralpe è proprio quella di essere congegno ad orologeria, messa in scena pirotecnica, dove la comicità si trasforma in “meccanismo infernale” che “travolge, divora, ribalta e scuote”, quasi matematicamente, la scena e lo spettatore. E non si tratta certo di una meticolosità puramente testuale. Fu, del resto, lo stesso Feydeau a dichiarare con disarmante franchezza come il movimento sia “la condizione essenziale del teatro, e di conseguenza la principale dote del drammaturgo”. La scelta di rappresentare oggi un vaudeville comporta la decisione su come affrontare l’universo borghese: assecondarne le inclinazioni e la voglia di evasione o metterlo in difficoltà sottolineando la portata critica e satirica dell’opera. Impossibile però non lasciarsi influenzare e incuriosire dalla massiccia presenza di atmosfere oniriche, oscure e intrise di un gusto quasi paranormale, degne dei testi dei più grandi autori del surrealismo, che proprio in Feydeau vedevano il loro diretto maestro e ispiratore. Da qui la decisione di creare un vero e proprio incontro-scontro tra i due piani, quello sociale e satirico e quello più fantasioso e bizzarro, provocando un cortocircuito nella recitazione pragmatica e diretta degli attori, che si ritroveranno inseriti in una sorta di scatola meta teatrale e antinaturalistica, un palcoscenico nel palcoscenico, una scacchiera folle che li vedrà impegnati in una partita che tutti dovranno giocare, loro malgrado, guidati come pedine colorate e clownesche dalla mano di un autore-giocatore, che li guiderà senza pietà e senza esclusione di colpi nella costruzione di una commedia dal sapore amaro, una commedia in cui si riderà in modo intelligente, senza mai perdere di vista l’obiettivo di raccontare una società “malata” e attratta dal proibito, una società ipocrita che condanna in pubblico le stesse cose che poi in privato si concede.